La storia
Conosciuta anche come Pescolamazza fino al 1947, Pesco Sannita è un piccolo borgo nella provincia di Benevento, attraversato dal fiume Tammaro. La città sembra arroccata su di uno sperone roccioso dal quale prende appunto il nome. La parola pesco (pesclum), infatti, sta per roccia o sperone roccioso.
Abitato fin dall’epoca romana, di cui però restano pochissime tracce, Pesco fu feudo della famiglia Della Marra, dalla quale deriverebbe il nome di Pescolamazza, una storpiatura di “Pesco della Marra”.
Pesco Sannita è stata la patria di un brigante del periodo postunitario, certo Francesco Saverio Basile, detto Ciccio Pilorusso, che tra il 2 ed il 3 agosto del 1861 occupò il paese natio con la sua banda, accolto da molti simpatizzanti filoborbonici, e ne incendiò le case dei possidenti liberali.
L’insurrezione del paese venne poi repressa nelle giornate successive quando furono inviati bersaglieri del Regio Esercito italiano, comandati dal maggiore Pier Eleonoro Negri. L’ex capo della Guardia del paese, tale Luigi Orlando, fu ritenuto responsabile della rivolta e così fu portato in piazza dai militari e fucilato.
Castello di Monteleone
Il castello di Pesco Sannita fu costruito in età longobarda ma raggiunse il suo massimo splendore in epoca normanna quando era appunto in possesso dei Della Marra. Nel XV secolo passò ai Caracciolo di Casalbore, infine ai Carafa, insieme al feudo di Pietrelcina. Del castello oggi non restano che pochi ruderi, situati nella frazione di Monteleone.
Palazzo Orlando
Il Palazzo fu costruito nella prima metà dell’ottocento da Lorenzo Pennucci, sindaco del paese. Successivamente fu ereditato dai suoi figli Leopoldo, avvocato e Filippo, notaio. Verso la fine del secolo passò nelle mani del cav. Luca Orlando, figlio del filo borbonico Luigi fucilato nel 1861 sotto l’olmo di Piazza Gregaria.
La Chiesa del SS. Salvatore
Costruita nell’ultimo scorcio del Cinquecento, la chiesa del SS. Salvatore, ampliata tra il 1921 e il 1924, è stata completamente rifatta, all’indomani del terremoto del 1962. La costruzione conserva i segni delle varie ristrutturazioni che si sono susseguite nel tempo.
Di notevole interesse, oltre all’urna con i resti mortali di Santa Reparata, sono la porta di bronzo realizzata dalla fonderia ed il soffitto a finti cassettoni decorato in oro zecchino da Rocco Pennino, l’autore dell’ultima cena che campeggia nell’abside.
Museo della civiltà contadina
Il museo della civiltà contadina si propone di tramandare la memoria degli antichi mestieri e tradizioni, dei riti e delle feste dell’anno, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza delle proprie radici.