La piazza
Piazza dei Martiri si incontra nell’elegante quartiere Chiaia, a pochi metri dal lungomare Caracciolo e dalla Villa Comunale. Già nota dal XVII secolo col nome di largo di Santa Maria a Cappella Nuova, dall’omonima chiesa barocca, poi demolita nel Decennio francese, che vi sorgeva giusto nel mezzo, fu per brevissimo tempo denominata anche Largo della Madonna della Pace (o semplicemente largo della Pace), per volere di Re Ferdinando II di Borbone in ossequio al recuperato clima di distensione dopo i moti del 1848. Dal 1861, invece, assume l’odierna denominazione di piazza dei Martiri.
Al centro della piazza, dalla forma irregolare, sorge il monumento dedicato ai caduti delle quattro rivoluzioni napoletane, allegoricamente rappresentati da quattro possenti leoni, posti alla base della colonna di granito, che sorregge una vittoria alata.
Il monumento
La colonna, in puro stile neoclassico, fu originariamente commissionata da Ferdinando II allo scultore Luigi Catalani, come sostegno della statua della Madonna della Pace, che avrebbe dato nome alla piazza e alla via che vi si immetteva. Alla sua realizzazione vi intervenne anche l’architetto Enrico Alvino, che nel 1853 realizzò gli ecclettici edifici di via della Pace (oggi via Domenico Morelli), tra cui il maestoso palazzo Nunziante.
Dopo l’Unità d’Italia, sotto l’amministrazione del sindaco Andrea Colonna di Stigliano, il monumento borbonico venne riadattato ad una nuova esigenza politica, divenendo la Colonna dei Martiri, simbolo della liberazione dalla tirannia borbonica del popolo napoletano, che avrebbe raggiunto col plebiscito del 1860 la propria autodeterminazione, come recita una scritta in bronzo su di un lato del basamento.
Sulla sommità della colonna aleggia la statua bronzea della Vittoria alata (Nike), realizzata da Emanuele Caggiano, che per eleganza e leggiadria vinse il concorso bandito dal municipio di Napoli nel 1863, col suo bozzetto ispirato ad una scultura pompeiana custodita nel Museo Archeologico.
I quattro leoni
Ai quattro lati sono collocati i leoni, che, seguendo l’ordine cronologico, rispettivamente rappresentano: quello a sud, opera dello scultore Antonio Busciolano, il leone morente, emblema della tragica fine dei giacobini della Repubblica del 1799; quello ad est, di Stanislao Lista, il leone trafitto da una spada che invano tenta di mordere, allegoria dei moti carbonari del 1820; quello a nord, scolpito da Pasquale Ricca, il leone accasciato che tiene con la possente zampa lo statuto del 1848, emblema del sacrificio dei liberali durante la cosiddetta Primavera dei Popoli; infine, ad ovest, a conclusione del ciclo, opera di Tommaso Solari, il leone in piedi, in atto di offendere, più che di essere offeso, celebra il riscatto del popolo partenopeo ad opera dei garibaldini nel 1860.
Il palazzo Calabritto
Il palazzo Tuttavilla dei Duchi di Calabritto, una delle più imponenti ed eleganti residenze nobiliari della città, affaccia nella piazza e nell’omonima via laterale, dove fa tuttora bella mostra il suo ingresso principale. L’edificio, risalente agli inizi del XVIII secolo, fu costruito a ridosso delle mura cittadine, oltre le quali si andavano ormai espandevano le costruzioni civili, prima di allora rarissime, che costituiranno il nucleo originario del quartiere Chiaia. Il palazzo venne acquistato dal Re Carlo III di Borbone, che ne colse la sua regale magnificenza, ma venne presto riacquistato dal Duca di Calabritto, che affidò nel 1756 l’incarico di radicali lavori di rifacimento al celebre Luigi Vanvitelli, il cui intervento è ben visibile nella vaghezza dello scalone ed nel maestoso portale principale, affiancato da due colossali cariatidi.
Palazzo Grifeo
A far da quinta teatrale alla piazza vi è anche la facciata neoclassica del palazzo Grifeo dei Principi di Partanna. Originariamente della famiglia Coscia dei Duchi di Paduli, il palazzo venne eretto per opera di Mario Gioffredo, architetto vanvitelliano molto in voga nella prima metà del ‘700, la cui firma è ancora ben visibile ai piedi di una delle due colonne del portale, seguita dalla data di termine dei lavori nel 1746.
Ferdinando IV di Borbone, acquisito il palazzo, incaricò Antonio Niccolini del rifacimento in forme neoclassiche, per donarlo come regalo di nozze alla sua giovane moglie morganatica Lucia Migliaccio dei Duchi di Floridia, il cui blasone – una pianta di miglio d’oro in campo azzurro – ancora oggi adorna il bel portale classico del palazzo (unico elemento architettonico non coinvolto nel rifacimento del Niccolini). La bella e giovane Lucia aveva sposato nel 1781 il Principe di Partanna, il siciliano Benedetto Maria Grifeo, con cui ebbe cinque figli, e di cui rimase vedova nel 1812, ereditando fortune e titoli di casa Partanna. Ferdinando IV di Borbone se ne invaghì durante il suo secondo esilio in Sicilia e nel 1814, dopo appena due mesi di lutto dalla morte della regina Maria Carolina in Austria, la sposò morganaticamente, ovvero senza trasmetterle alcun diritto alla successione al trono delle Due Sicilie, come era uso di molti monarchi del tempo.
Palazzo Partanna
La Duchessa di Floridia, Lucia Migliaccio, che dal Re Ferdinando aveva avuto in dono anche la splendida villa sulla collina del Vomero, che del suo titolo nobiliare portava il nome (Villa Floridiana), si trasferì a palazzo Partanna solo dopo la morte del Re nel 1825, restandovi sino alla sua avvenuta l’anno successivo. Il palazzo, che fu gravemente danneggiato durante la Seconda Guerra Mondiale, è stato restaurato negli anni ’90 ed è sede tra l’altro dell’Unione degli Industriali di Napoli e della galleria d’arte moderna Lucio Amelio.